Così come mangiare e respirare, anche dormire ha un ruolo di primaria importanza nella vita degli esseri viventi. Basti pensare alla nostra ultima notte insonne e alla successiva giornata lavorativa, alla stanchezza provata e trascinata fino a tardi e all’unico pensiero fisso che da mattina a sera ci ha accompagnato “Non vedo l’ora di rimettermi a letto!”. Adesso immaginiamo che questa situazione non avvenga solo per una notte, ma continui nella notte successiva, riproponendosi ancora nelle nottate a seguire e così via, il tutto mentre le giornate che viviamo si arricchiscono di stanchezza, irritabilità, scarsa concentrazione e depressione. Trattasi ovviamente di un problema per nulla banale: i disturbi del sonno portano a un rischio più elevato di patologie mediche e psichiatriche e a una compromissione generale del lavoro e dei rapporti sociali.
Insonnia: come si manifesta
L’ insonnia è caratterizzata da una persistente difficoltà di inizio, durata, consolidamento e qualità del sonno. Questo determina anche una serie di conseguenze diurne negative, tra cui:
- eccessiva sonnolenza,
- difficoltà di concentrazione,
- calo del tono dell’umore,
- irritabilità,
- difficoltà sociali o lavorative.
L’ insonnia è spesso associata ad altre condizioni psicopatologiche, prima tra tutte la depressione, ma anche ai disturbi d’ansia.
Perché l’insonnia non ci lascia scampo?
Vi sono tre diversi modelli teorici che spiegano come sia facile diventare vittime dell’ insonnia: oltre a fattori predisponenti (quali familiarità e caratteristiche individuali) o precipitanti (stress, lutti, preoccupazioni), vi sono anche altri fattori che favoriscono il mantenimento dell’ insonnia, quali comportamenti e credenze disfunzionali relative al sonno.
1 – Il modello dell’insonnia di Morin vede nell’arousal (ovvero l’agitazione psicofisica) la caratteristica principale dell’ insonnia: col passare delle notti insonni, la persona affronta con ansia e paura il momento di andare a letto. In questo modo si sforzerà di dormire a tutti i costi, non riuscendoci. Le conseguenze diurne (irritabilità, fatica, ecc) portano ad un aumento dei pensieri negativi riguardanti il sonno e ad aumento dell’ansia che impedisce di dormire:
Penso “Non dormirò bene” -> ansia e AROUSAL -> non riesco ad addormentarmi -> la mattina sono stanco -> più ansia quando mi metto a letto-> penso sempre più “non dormirò bene”
2 – Secondo Espie, il sonno è un processo automatico. Chi dorme senza problemi si addormenta in modo spontaneo, senza controllo e senza pensarci troppo. L’automaticità del sonno è dunque la parte centrale del modello di Espie: tale automaticità invece viene persa quando la persona presta attenzione in modo selettivo al sonno e si sforza a tutti i costi di dormire. Secondo gli autori, quindi, i tre elementi cognitivi principali che portano al’insonnia sono: l’elevata attenzione a tutto ciò che potrebbe ostacolare il sonno; l’ intenzione esplicita di voler dormire e lo sforzo per addormentarsi.
E’ come se nella persona si crea una catena di pensieri disfunzionali: “Devo assolutamente dormire -> devo controllare tutto ciò che mi impedisce di dormire -> l’eccessivo controllo non mi fa addormentare”
3 – Secondo Harvey, che riprende tratti del primo e del secondo modello, l’insonnia può essere spiegata tramite una serie di processi cognitivi attivi sia di giorno che di notte:
- (a) le persone che soffrono di insonnia sono più preoccupate nel pre-addormentamento, presentando ansia pensieri intrusivi spiacevoli;
- (b) la preoccupazione aumenta il livello di arousal;
- (c) l’eccessiva ansia porta il soggetto a monitorare continuamente tutti quegli stimoli interni ed esterni che potrebbero ostacolare un buon sonno, aumentando la probabilità di trovare dei reali stimoli minacciosi;
- (d) le persone danno grande importanza al disturbo notturno e alle conseguenze diurne, aumentando così l’ ansia di cui al primo punto;
- (e) le convinzioni disfunzionali e i comportamenti messi in atto per rimediare all’insonnia, altro non fanno che incrementare ulteriormente il disturbo.
“Anche stanotte non riuscirò a dormire -> ansia -> aumenta l’arousal -> devo controllare tutto ciò che mi impedisce di dormire -> se non dormo domani sarà un disastro -> ansia aumenta -> tutti questi pensieri non mi fanno dormire bene”
Insonnia: cosa fare allora?
I modelli presentati sono simili tra loro e si basano su un assunto fondamentale: i pensieri disfunzionali relativi al nostro cattivo sonno possono aumentare la gravità del disturbo. Un primo passo per contrastare il problema è riconoscere quali sono i propri pensieri disfunzionali relativi al sonno, in modo da interrompere i circoli viziosi appena visti. Come? Non bisogna dare ai pensieri disfunzionali eccessiva importanza, bisogna al contrario riconoscerli e ricordarsi che essi sono passeggeri. I pensieri che ci preoccupano vanno visti come delle onde che, così come arrivano a riva, allo stesso modo vanno via.
Non sempre però è così immediato risolvere i propri problemi relativi al sonno, in tal caso è consigliabile rivolgersi a un terapeuta con il quale, dopo aver analizzato le proprie abitudini di vita e i propri ritmi giornalieri, poter iniziare un lavoro di ristrutturazione dei pensieri disfunzionali che ci impediscono di dormire e dei comportamenti scorretti che ostacolano un buon sonno.